Laura Demartino
Appunti
Alte mura, irrobustite da possenti contrafforti, interrompono lo sguardo. Esse sono eleganti nella struttura sia quando sono costruite con pesanti massi, sia quando sono rivestite di paramenti murari di pietre levigate, alternate con sapienza e arte. Le mura circondano i carceri, luoghi chiusi per eccellenza, dove la vita è – per definizione – ristretta, vincolata, soggetta a coercizione. Nelle metropoli urbane i carceri sono dislocati nelle periferie estreme. Le mura non sono contrassegnate da scritte e graffiti, da scrostature, lesioni o segni di degrado. Sono luoghi controllati, e sono luoghi al limite.
Per custodire i ricordi è necessario un luogo separato, la cui cinta muraria, invisibile, è costituita dal tempo. I ricordi serbano il senso delle nostre esperienze e al tempo stesso si allontanano dalle singole storie che li hanno prodotti. Così, lentamente, diventano racconti.
Fra le mie amiche, Eleonora rappresenta un’amicizia antica e la storia della nostra amicizia è storia strana: per il luogo, per il gioco dei ruoli e per l’occasione dell’incontro. Lei era piccola e graziosa, nell’aspetto e nei modi; sembrava quattordicenne, anche se ne aveva ventiquattro, e piena di buona volontà.
Che ci fa questa qui dentro, fra donne tatuate o senza i denti, alcune tremanti di astinenza, altre fiere e ammantate di politico orgoglio, altre ancora nere, affettuose e grasse.
Così pensavo mentre scendevo le scale e attraversavo lunghi corridoi dopo la mia lezione di grafica alla classe di Rebibbia femminile, casa circondariale di Roma, via Bartolo Longo, 92. Lì la strada finisce, ci sono i campi, la nebbia. Il grigio del cielo, quello verdastro dei prati e quello dell’asfalto si confondono. È un luogo sospeso. Non so dire fra quali sponde sia sospeso. È sospeso e basta.
Eleonora aveva scelto di impegnarsi in un disegno complesso, fine; un vero e proprioesercizio di pazienza, una sfida per una principiante, e vi si è dedicata con fiducia. Anche con serietà, determinazione fatta di impegno quotidiano, puntualità, perseveranza, ma soprattutto fiducia. La fiducia di riprendersi in mano e provare, passo dopo passo, a orientare di nuovo il proprio destino. Si è aggrappata a un filo per riannodare qualche filo interiore che si era spezzato, smarrito. Forse un filo ingarbugliato che non aveva ancora trovato una direzione.
A Rebibbia, in molte si iscrivevano ai corsi. Poi i gruppi si dimezzavano, poi si dimezzavano ancora. Era difficile darsi un ritmo, alzarsi la mattina, essere puntuali, onorare l’impegno assunto con sé stesse e con gli altri, conciliare il lavoro e lo studio. Il lavoro per sopravvivere, lo studio per imparare a vivere.
Che ci fa questa qui dentro? Questa ragazza che arriva puntuale tutte le mattine e poi va a lavorare, che arriva ben curata e sorridente, instancabile. Che ci fa questa ragazza qui dentro?